lunedì 27 dicembre 2010

I DEMONI ERRANTI DELLA NOSTRA STORIA




La storia del mondo è la storia della lotta delle potenze della Luce contro le potenze tenebrose. Ma non si creda ad un testa a testa in campo aperto. Gli stendardi luminosi spesso si confondono, arretrano, abdicano; di contro, gli stendardi delle tenebre spesso avanzano senza incontrare soverchie resistenze. Gli Imperi dei Re e dei Profeti, cadono ad uno ad uno sotto i colpi terribili delle falangi oscure; i detentori del Bene non di rado tradiscono il mandato, travolgendo con la loro infamia, popoli e civiltà. C'è una zona grigia tra le maglie della storia e del tempo, dove irrompe intermundia con i suoi emissari. Questi occulti figuri operano sulle cose e nelle anime, assoldano tra le loro fila adoratori del serpente, ma anche uomini pronti a tutto pur di possedere il mondo. La zona grigia è scaturita da precise spinte e controspinte eteriche ad opera di goeti atlantidei, esuli dalla scomparsa interdimensionale della Grande Isola.

Detto questo, ritengo necessario fare alcune considerazioni su tutta una pubblicistica ben presente sia sulla stampa che sul web, mirante a confondere le coscienze tramite centoni di elucubrazioni raffazzonate da libri poco letti e peggio capiti. Mi riferisco a quei sedicenti neognostici, neocabalisti dell'ultim'ora, esoteristi alla marvel comics che sproloquiano su arconti, demiurghi, supereroi, traendo spesso le loro insulsaggini da sedute di ipnosi regressiva e, non di rado, da voci di dentro, senza essere per questo delle novelle Giovanna d'Arco redivive. Poi, come se non fosse sufficiente, ignoranti di Tradizione, giocano all'enigmistica estraendo radici semantiche da accozzaglie di parole, per sostenere tesi cospirazioniste o chissà quali segreti.
Vedete, il sentiero luminoso, quello della sapienza o delle 'materie oscure' come le chiamava Scandurra, non è un videogioco con bonus quando il caso lo richiede; la conoscenza non è pane per denti da latte; l'iter iniziatico è il più delle volte una ipotesi di lavoro ben lungi dall'esser praticabile dai più, anzi, a volte perfino i predestinati falliscono miseramente l'impresa. Fidatevi, ci vogliono anni di anticamera, di lotta con se stessi, di delusioni atroci, di ripensamenti dubbi cadute risalite sfinimenti psicosi, e se non ci venisse in aiuto l'angelo celeste preposto ad indicarci la strada smarrita, vagheremmo come disconnessi senza speranza. La follia è il prezzo che si paga per chi fallisce. E ci sono diversi modi per fallire.
Non è tutto. L'infrarosso psichico proveniente da quel mondo sublunare, l'intermundia appunto, non è certo inattivo nei confronti delle nostre scorribande interiori. Si affacciano alla frontiera della nostra mente, in punta di piedi o con fragore di tuono, spettri, demoni, forme residuali psichiche, che ci travolgono, ci assorbono, ci deviano, impedendoci di distinguere il vero dal falso, l'alto dal basso, il bene dal male. Capacissimi di invertire le nostre coordinate animiche, stravolgendoci la volontà, l'intelligenza, la sensibilità.

Troppe ne ho viste e fatte, tanti ne ho incontrati e persi di vista, pochi sono stati quelli che con coraggio e umiltà hanno proseguito sulla Via. Bisogna fare i conti con noi stessi e poi, se il risultato è quello giusto, procedere. Tuttavia niente è facile. L'ingannatore è dietro ogni angolo, le tentazioni sono forti. Abbiamo gli strumenti idonei ma non sempre li usiamo. L'orgoglio e la superbia possono dannarci. Altro genere di persone sono quei pagliacci 'neoqualcosa' di cui sopra. Caricature di occultisti, straparlano di cose di seconda e terza mano e si sono persino convinti di quello che dicono – ed è peggio – e come pifferai magici conducono altri incauti cercatori a raccogliere funghi tossici nella foresta del sogno. Il mentale li frega. Il complesso di superiorità li frega. Il bisogno di emergere a qualunque costo li frega. Seminano confusione e anatemi per stupire borghesi annoiati dal mal di vivere. Prestano il fianco a perniciose influenze. Creano stati d'animo pervertitori.

Una specifica potenza delle tenebre opera ai vertici del potere politico e finanziario mondiale, durante i consigli d'amministrazione dei grandi oligarchi, anziché in qualche radura tra i boschi. La Salamandra a volte vi presenzia; alcuni banchieri distolgono lo sguardo altrove, la visione è troppo forte e disgustosa, ma lì devono stare, inchiodati alle loro poltrone di pelle umana (non è una metafora, amici). Demoni invisibili ma anche incarnati. Già, mascherati da donne e uomini, e se non fosse per un particolare, un dettaglio, sarebbero totalmente mimetizzati. Le fesserie rettiliane di David Icke, tristemente noto agente dei servizi di Sua Maestà Britannica, fanno parte della disinformazione più che mai utile per depistare le masse. Quando parlo di demoni mascherati da uomini e donne, intendo dire che se sottoposti ad esame medico-scientifico sarebbero considerati esseri umani a tutti gli effetti, tranne che per lo spirito, ma si sa esso non è analizzabile al microscopio. La loro influenza trova terreno fertile grazie al concorso non secondario di dottrine e ideologie che hanno dato una svolta all'umanità da oltre due secoli. L'impero britannico prima, degno erede della Repubblica di Venezia, quello degli Stati Uniti poi, hanno imposto al mondo regole, leggi, cultura, commerci, politiche ed economie, atte a schiavizzare le coscienze della gente. Su tutto, hanno creato il debito perpetuo sulle teste di ogni uomo donna e bambino; sponsorizzato guerre, genocidi, conflitti religiosi; e come se non bastasse, hanno messo all'asta il mondo. Indovinate chi sono i compratori?

Stampa, televisione, cinema, costume, diventano i loro strumenti ideali per irretire le menti di miliardi di fruitori del prodotto finale. Si creano bisogni, ossessioni, mode culturali, per agganciare ogni attimo di tempo dell'uomo comune. La sua unità fisico-bio-psichica viene irrimediabilmente distrutta. Vuoto e disperazione, sono le nuove malattie dell'anima. Ma non c'è problema: tonnellate di psicofarmaci sono in produzione continua. La psicanalisi, dopo aver diviso la coscienza con false concezioni, pretende pure di curarla. La scienza moderna, poi, sostiene pervicacemente di aver quasi risolto ogni mistero, solo questione di tempo e tutto sarà chiaro. L'uomo attuale, frammentato scoppiato disilluso fiacco fragile disconnesso depresso allucinato ipereccitato drogato, grazie al contributo decisivo di scienziati illuminati potrà vedere il futuro con occhi finalmente liberi da dèi e miti. Tutto sarà a disposizione di tutti. L'uomo sarà legge a se stesso e i nuovi satanisti così, come da copione, usciranno allo scoperto per annunciare l'avvento del superalieno ingiustamente cacciato dai cieli, quello progressista, libertario, moderatamente buonista, sinceramente amante degli uomini, uomo di mondo insomma. Ci dirà: rompete le catene così sarete liberi, finalmente liberi di fare tutto quello che vorrete. Per il resto ci penserà lui. L'incubo infernale sarà realtà. I demoni cammineranno in mezzo a noi e noi non ce ne accorgeremo. Ufonauti grigi e alieni vari, atterreranno per la gioia dei cultisti dell'ultima ora. Lo scenario non sarà quello finto e veltroniano di Incontri Ravvicinati di Spielberg, ma quello della Guerra dei Mondi con finale diverso, però. Intermundia si fonderà col nostro piano dimensionale. Ma noi non ci saremo...

martedì 7 dicembre 2010

SATURNO NON HA TEMPO DA PERDERE


Nel libro "LE IMAGINI DE I DEI DEGLI ANTICHI" di Vincenzo Cartari del 1581 nella sezione relativa a Saturno ed alla sua rappresentazione, l'autore riferisce che Marziano nella sua opera descrive il Dio Saturno mentre porge con la mano destra un serpente che si morde la coda – l'uroboro alchemico - indicando in questo modo il Tempo. Qui è racchiuso il segreto della Salamandra. Tutta l'iconografia alchemica e mitologica occidentale, è costellata di tracce significative per comprendere le potenze cosmiche in campo fin dalla fondazione del mondo, e indica pure quali e quanti strumenti occulti adoperano sia gli oligarchi oscuri che governano indisturbati la nostra Terra, sia i custodi del fuoco segreto.
Di seguito propongo il primo ammirabile capitolo del libro Le imagini dei Dei degli Antichi comparso nella I edizione (1556). Leggendolo, scoprirete che sarà più utile a noi, sentinelle dell'alba, che agli storiografi di professione.


Poche sono state quelle genti, o forse anchora che niuna fu mai, infino dal principio del mondo, le quali non habbiano havuta qualche religione, perché pare che l’animo humano seco la porti quando si viene a nascondere nel corpo mortale. Onde egli è differente poi dalle bestie, le quali non hanno alcuna cognitione della providenza Divina, e perciò né l’ammirano né la riveriscono. Adunque gli huomini solamente alzando gli occhi al Cielo e considerando l’universo pensarono che qualchuno vi fosse eterno et infinito che ne havesse cura, e con infinita providenza disponesse tutte le cose e le governasse, e fu questi chiamato Dio, quasi datore di tutti i beni, eterno, infinito, et invisibile. Ma non però si attenne ognuno sempre a questa verità, imperoché la dapochezza humana cominciò a dilettarsi di sé medesima, in modo che più oltre non guardando che vedesse con gli occhi del corpo a molti porse occasione di fare credere al volgo che fosse Dio nelle Statoe e nei simulacri di legno, di terra, di pietra e di altre materie, et alle volte anchora nelle imagini dipinte. Da che si potrebbe dire che fosse nata la moltitudine dei Dei degli antichi, perché non solamente le nationi, ma ciascheduna Città anchora se ne faceva a modo suo, secondo che dalla potenza Divina cercava di ottenere alcuna cosa, o che la già ottenuta voleva mostrare. E venne questo inganno poi crescendo, in modo che quelli etiandio come Dei furono adorati, li quali erano creduti di havere apportato utile alla vita humana o col ritrovamento di nuove arti, o col giovare in qualche altro modo al mondo. Et a questi cotali furono poste le Statoe, dimostratrici delle cose da loro trovate e fatte mentre che erano tra mortali. Ma non per questo fu che appresso di molti non restasse pur ancho certa buona opinione di Dio come che fosse un solo et invisibile, e perciò non havesse figura alcuna, la quale chi cerca, come dice Plinio, troppo consente alla dapochezza sua. Onde i Giudei, quali tra gli antichi seguitarono la vera religione, adorarono un solo Dio, e quello risguardavano non nelle Statoe o nelle imagini con gli occhi del corpo, ma nella divinità sua col lume della mente, quanto però l’humana natura lo comporta. E come riferisce Cornelio Tacito, riputarono empii tutti quelli li quali fingevano la imagine di Dio e la formavano in diverse materie alla somiglianza de’ corpi humani, e perciò nelle loro Città e meno nei tempii non havevano Statoe o simulacro alcuno. Il che fecero degli altri anchora, benché come essi non conoscessero poi un Dio solo, ma credessero esserne molti. Onde si legge di Licurgo ch’ei non voleva che per gli Dei fossero fatte imagini né Statoe, come che né agli huomini né ad alcuno animale si potessero assomigliare. Scrive Lattantio che furono già da principio adorati gli elementi da quelli di Egitto, senza farne alcuna imagine. Et i Romani parimente adorarono già da prima più di centosettanta anni i loro Dei senza haverne simulacro alcuno. Come i Persi, gli Scithi, e quelli della Libia fecero pur anco, che non hebbero Statoe né altari né tempii, ma consecravano le selve et i boschi, e quivi adoravano. Et il medesimo anchora facevano quelli di Massilia nella Gallia Narbonense, che adoravano i loro Dei nei consecrati boschi senza haverne simulacro alcuno, se non che pure talhora facevano riverenza agli alti tronchi, non altrimente che se in quelli havessero creduto esser i Dei. Onde Lucano scrivendo di costoro così dice:
Adorano i tagliati tronchi, quali
Non hanno forma alcuna, e sono questi
Le Statoe dei lor Dei fatte senza arte.
(2)
Note:
1. In
Le imagini dei Dei degli Antichi, nelle quali si contengono gl’Idoli, Riti, ceremonie, & altre cose appartenenti alla Religione de gli Antichi, raccolte dal sig. Vincenzo Cartari, F. Marcolini, Venezia 1556, cap. I.
2. Marco Anneo Lucano, Bellum Civile (o Pharsalia) III, 412-413. 

Leggesi anchora appresso di Cornelio Tacito, ove scrive della Germania, che non solamente non hebbero i Germani Statoe dei Dei, ma né ancho tempii, perché pensarono che fosse male chiudere quelli tra le mura nel breve spatio di un tempio, e che alla grandezza loro non si confacesse tirarli alla picciola forma del corpo humano. Come fecero i Greci poi et i Romani, e prima di loro forse quelli di Egitto, che formarono le Statoe dei Dei alla similitudine degli humani corpi. Né fu però fatto forse perché credessero quelli antichi che i celesti Dei havessero il capo, le mani et i piedi come hanno gli huomini, ma per mostrare, come dice Varrone, che gli animi dei mortali, quali sono qui nelle membra terrene, sono simili agli animi divini che stanno su nei cieli; ma perché gli animi sono cosa che non si può vedere, fanno che ciò si veggia nei corpi. E perché questi nelle Statoe che rappresentano i Dei sono simili alli nostri, volevano quelli antichi intendere che le anime nostre siano parimente simili a quelle dei Dei. Porphirio dice, come riferisce Eusebio, che furono fatti i simulacri dei Dei alla similitudine degli huomini perché Dio è tutto mente e ragione, della quale sono pur ancho gli huomini partecipi. Rende Lattantio un’altra ragione delle Statoe, dicendo che furono fatte prima per memoria dei Re morti, quali vivendo havevano così ben governato i loro popoli che morendo poi lasciarono di sé mirabile desiderio a quelli, li quali se ne fecero Statoe per rinovare spesso la memoria di coloro che più non potevano vedere in altro modo. Onde Eusebio nella Historia Ecclesiastica scrive parimente che fu usanza de’ Gentili fare honore con le Statoe alle più degne persone conservando così lungo tempo la memoria loro, e perché vedessero i posteri quanto erano amati et in che rispetto erano havuti quelli li quali operavano virtuosamente. Et il medesimo Lattantio vuole che Prometheo fosse il primo che di terra facesse simulacro di huomo, e così che l’arte del fare le Statoe cominciasse da lui nel tempo di Giove, quando fu cominciato anchora a fare i tempii e furono introdotte nuove religioni. Da che venne poi che all’huomo imitatore della opera divina fu dato quello che è di Dio, perché dissero che Prometheo fece il primo huomo. La quale cosa può bene stare anchora quando noi per lui intendiamo, come intese Platone, la providenza superna, dalla quale non solamente gli huomini poi, ma tutte l’altre cose del mondo anchora furono prima create. E perciò la adoravano gli antichi come Dea, la quale a guisa di ottima madre di famiglia governasse l’universo, havendo pur ancho cura di ciascheduna sua parte; et era la sua imagine di donna già vecchia in habito di grave matrona. Leggesi appresso di Plinio che in Rhodo furono delle Statoe più di tremilla, né punto manche in Athene et in Delfo et in altri luochi della Grecia, perché non solamente ai Dei erano poste le Statoe, ma agli huomini anchora, come dissi, quali per qualche opera degna meritassero di essere honorati in questa guisa. Nella qual cosa non furono i Romani meno frequenti dei Greci, anzi questi ne hebbero tante delle Statoe che fu detto esser in Roma un altro popolo di pietra. E ne facevano quelli antichi le conserve, né delle Statoe solamente, ma delle pitture anchora, raccogliendone quante ne potevano havere fatte da Pittori e da Scultori eccellenti, e ne adornavano le case, non solo alla Città ma fuori anchor alla villa. Il che fu giudicato già havere troppo del de-licioso, e non convenirsi alla severa vita de’ Romani. Onde Marco Agrippa ne fece una bella oratione, volendo persuadere che si mettessero in publico tutte le Statoe e tavole che stavano per ornamento delle private case. E sarebbe, dice Plinio, stato meglio assai che mandarle come in bando alle ville. Varrone scrive che molti andavano ai poderi di Lucullo solamente per vedere le belle pitture e sculture ch’ei vi haveva, alle quali facevano i luoghi aposta, come ne scrive Vitruvio, dicendo che hanno da essere grandi e spatiosi. Et osservarono questo gli antichi nelle Statoe, che le facevano in modo che potevano ad ogni loro piacere levarne via le teste e mettervene delle altre. Onde parlando Svetonio della vanagloria di Caligula, dice che parendo a costui di essere andato sopra la grandezza di tutti gli altri Principi e Re cominciò ad usurparsi i divini honori, e comandò che a tutti i simulacri dei Dei, quali e per religione e per arte erano riguardevoli, come quelli di Giove Olimpio et altri, fossero levate le teste e vi si mettesse la sua. E scrive medesimamente Lampridio che Commodo Imperadore levò il capo dal colosso ch’era di Nerone e vi pose il suo. Erano poi le Statoe dei Principi poste in publico havute in rispetto tale che era sicuro ognuno che fuggiva a quelle, né poteva essere tratto indi a forza. Che non fu però di giovamento alcuno al figliuolo di Marco Antonio, perché Augusto, come appresso di Svetonio si vede, lo fece trare dalla Statoa di Giulio Cesare alla quale egli era fuggito per sua salvezza, poi che et i prieghi et ogni altra via che havesse tentata per lo suo scampo era riuscita vana, e commandò che fosse ucciso. Facevano oltre di ciò le Statoe dei Principi vestite talhora e talhora nude, e ne fecero anchora di tutte dorate, come si legge appresso di Tito Livio, il quale mette che Acilio Glabrione fosse il primo che in Italia facesse Statoa dorata, e questa da lui fu posta in honore del padre Glabrione. Alessandro Afrodiseo scrive che anticamente gli scultori facevano spesso i Dei et i Re nudi per honore e laude di quelli, come che in tal modo volessero mostrare che la possanza loro ad ognuno era aperta e manifesta, e che erano o dovevano essere di animo sincero e nudo, non machiato da vitii né coperto da inganni. E Plinio dice che fu questa usanza de’ Greci fare le Statoe nude, perché solevano i Romani mettere loro indosso le corazze almeno, conciosia che non facessero già da principio Statoe, se non a chi per qualche fatto illustre meritasse che di lui fosse tenuta memoria. Non lascierò di dire questo anchora prima ch’io venga alle particolari imagini, che alle pompe dei giuochi solenni portavano in volta gli antichi non solamente i simulacri dei Dei, ma le Statoe anchora degli Imperadori, dei valorosi capitani e di altri huomini illustri, e delle donne anco talhora. Onde Mario, perché era huomo di famiglia ignobile, appresso di Salustio dice che non ha imagini da mostrare de’ suoi maggiori, ma che bene può far vedere in quella vece gli honorati premii riportati dalle vinte guerre. Venendo dunque homai alle Statoe et alle imagini dei Dei, le quali furono tante ch’io non ne saprei trovare il numero, e fatte in tanti diversi modi che troppo sarebbe difficile dire di tutte, dirò di quelle solo che appresso degli autori sono più frequenti. E se fatto havessero tutti gli altri come già fecero quelli di Egitto, forse che non molta fatica sarebbe dire di tutte. Imperoché scrive Platone che in Egitto erano poste tra le cose sacre tutte le imagini che si potevano scolpire o dipingere, né oltre a quelle più se ne poteva fare di nuove né fingersene a modo alcuno, come negli altri luoghi fu fatto. Sì che al tempo di Platone quivi non si di pingeva né si scolpiva cosa alcuna di più, né in altro modo che fosse stata scolpita o dipinta già erano diecemilla anni per l’adietro. In Grecia furono i Dei fatti in diversi modi secondo che diversi erano i costumi dei popoli, mostrando in essi ciascheduna natione quello di che più si dilettava. Onde, perché a’ Lacedemonii piacque il guerreggiare, fecero buona parte de’ loro Dei armati, et i Phenici, perché erano per lo più dati al guadagno et alle mercatantie, sì che pensavano essere beato chi era ben ricco de’ denari, mettevano in mano a quasi tutti i loro Dei borse da denari. E così in diverse maniere furono formati i Dei dagli antichi, mostrando pur ancho oltre a questo che ho detto nelle Statoe di quelli le diverse loro nature, le varie potenze e gli effetti che essi pensavano che da quelli venissero.
Per la quale cosa Eusebio riferendo le parole di Porphirio scrive che gli antichi per far conoscere la diversità dei Dei ne fecero alcuni maschi et alcuni femine, altri vergini et altri insieme aggiunti di matrimonio, e diversamente anchora perciò vestirono le Statoe loro come nelle imagini di ciascheduno si potrà vedere. Delle quali comincierò a dire poi ch’io havrò posto di che materia prima si facessero, percioché il medesimo Eusebio scrive, tolendolo pur ancho da Porphirio, che essendo Dio una luce purissima, la quale non può comprendere alcuno de’ nostri sensi, lo facevano di materia lucida e risplendente come è il finissimo marmo et il cristallo, e d’oro lo facevano anchora per mostrare l’eterno e divin fuoco ove egli habita, e la sua natura monda da ogni ruggine degli affetti mortali; e che molti facendolo di pietra negra volevano dare ad intendere la sua invisibilità. E Plutarco di questo scrive così. Antichissima cosa è il fare simulacri, e gli fecero gli antichi di legno perché parve loro che la pietra fosse cosa troppo dura per doverne fare i Dei, e pensavano che l’oro e l’argento fosse quasi fece della terra sterile et infeconda, perché ove sono le minere di questi metalli di rado aviene che altro vi nasca; e chiamavano gli antichi quella terra inferma et infelice, la quale non produceva herbe, fiori e frutti, perché essi, nei petti dei quali non haveva forza l’avaritia anchora, più non cercavano di quello onde potessero nodrirsi e vivere. Platone parimente pare volere che solo di legno si facessero le Statoe dei Dei, perché così scrive. Essendo la terra habitatione consecrata alli Dei, non si dee di questa fare le loro imagini, né di oro né di argento, perché queste sono cose per le quali è havuta non poca invidia a chi le possiede. Hora che mi viene a mente, voglio mettere quello che niente fuori di questo proposito mette Lattantio, et è che le ricche Statoe dei Dei mostravano l’avaritia degli huomini, quali sotto coperta di religione si pigliavano piacere di havere oro, avorio, gemme et altre cose preciose, facendo di queste le sacre imagini, le quali havevano care più per la materia di che erano che per quelli che rappresentavano. Ma ritorniamo a Platone, il quale seguita così. L’avorio è cosa che haveva l’anima prima e l’ha posta giù poi, e perciò non è buono da farne le Statoe dei Dei, né il ferro a ciò è buono né gli altri metalli duri, perché si adoprano nelle guerre e sono istromenti delle uccisioni. Resta dunque secondo Platone anchora solamente il legno da fare le sacre imagini, e di questo le fecero sempre, mentre che alla semplice povertà furono amici gli antichi. Onde Tibullo parlando a’ Dei domestici chiamati Lari dice parole che questo suonano in nostra lingua:
Né vergogna vi prenda se ben sete
Fatti di secco tronco, perché tali
Foste pur anco nei felici tempi
De’ poveri nostri avi, quando furo
La fede, la pietade, e la giustitia
Meglio osservate assai c’hoggi non sono,
E fur con grata povertà adorati
Nelle povere case i Dei di legno.
(3)
E Propertio fa dire in questo modo a Vertunno della sua Statoa:
Fatto senz’arte fui d’un secco tronco,
E come poverello Dio di legno
Innanzi al tempo del bon Numa stetti
Nella Città ch’a me fu sempre grata.
(4)
Plinio scrive che benché il fare le Statoe fosse in Italia cosa molto antica, non furono però dati ai Dei nei loro tempii simulacri di altro che di legno o di pietra prima che fosse da’ Romani soggiugata l’Asia, dalla quale passarono in Italia le preciose Statoe, sì che furono poscia fatte di quello che più piacque a ciascheduno. Ma perché gli eterni Dei furono creduti essere accompagnati dalla eternità sempre, ho pensato che sia bene dipingere questa prima ch’io dica di quelli; benché il Boccaccio ove racconta la progenie dei Dei dica che la diedero gli antichi per compagna a Demogorgone solamente, quale ei mette che fosse il primo di tutti i Dei e che habitasse nel mezzo della terra, tutto pallido e circondato di scurissima nebbia, coperto di certa humidità lanuginosa, come apunto sono quelle cose che stanno in luoco humido. Né altra dipintura o Statoa voglio fare di costui, perché non so che alcuno degli antichi ne habbia scritto. Ritorno dunque alla Eternità, la quale chi ella sia dimostra assai bene col nome solamente, che vuole proprio dire cosa che in sé contiene tutte le età e tutti i secoli, sì che spatio alcuno di tempo non la può misurare; benché si possa dire a certo modo ch’ella sia parimente tempo, ma che non ha mai fine.
Note:
3. Albio Tibullo,
Elegie I, 10, 17-20. (N.d.C.)
4. Sesto Aurelio Properzio, Elegie IV, 2, 59-60. (N.d.C.)

E perciò Trismegisto, i Pithagorici e Platone dissero che il tempo era la imagine della Eternità, perché questo in sé stesso si rivolve, né pare che se ne veggia mai il fine. Onde Claudiano, che largamente la descrive nelle Laudi di Stilicone, fa che un Serpente circonda l’antro ove ella sta, in modo che facendo di sé un circolo si caccia la coda in bocca, che viene a mostrare l’effetto del tempo il quale in sé stesso si va girando sempre; havendone tolto l’essempio forse da quelli di Egitto, li quali innanzi l’uso delle lettere mostravano l’anno parimente col Serpente che si mordeva la coda, perché sono i tempi insieme giunti in modo che il fine del passato è quasi principio di quello che ha da venire. Ricordomi di havere già visto in una medaglia di Faustina diva la Eternità fatta in questa forma. Sta una donna vestita in piè con una palla rotonda nella destra mano, et ha sopra il capo un largo velo disteso che la cuopre dall’un homero all’altro. Questa imagine a chi ben la considera non parrà forse molto dissimile da quello che hora porrò della Eternità scritto già da Claudiano, che mi pare haverla benissimo dipinta; e Dio voglia che dalla sua pittura io ne sappia fare ritratto tale che, se bene non sarà bello come quella, almeno sia conosciuto per tolto da quella. Perché il disegno et i profili saranno pur i medesimi benché siano i colori poi diversi, perché egli scrive Latino et io Volgare. Questo dunque è il ritratto della Eternità tolto da Claudiano:
In parte sì da noi lunge, e secreta
Ch’alcun mortal vestigio non v’appare,
Ov’all’humana mente il gir si vieta,
Né vi ponno anco i Dei forse arrivare,
Una spelonca giace d’anni lieta,
Madre d’infiniti anni, e d’età pare,
La qual con modo, ch’unqua non vien meno,
Manda, e richiama i tempi all’ampio seno.
Questa col flessuoso corpo cinge
Un Serpe pien di verdeggianti squame,
Qual ciò che trova avidamente stringe
Come che divorar ei tutto brame,
E la coda si caccia in gola, e finge
Di mangiarsela con avida fame.
Vassene in giro, e con l’usate tempre
Onde partì, cheto ritorna sempre.
Alla porta con faccia riverenda,
E d’anni piena sta l’alma Natura,
Come custode che fedele attenda
Chi vien e va con diligente cura.
D’intorno volan l’anime, e che penda
Ciascuna par con debita figura
Dalle membra, ch’a lei son date in sorte,
E stan con lei fin a che piace a Morte.
Nell’antro poi, nella spelonca immensa
Un vecchio, c’ha di bianca neve asperso
Il mento ‘l crine, sta, scrive e dispensa
Le ferme leggi date all’universo.
E mentre ch’a disporre il tutto pensa
Con l’animo al bel ordine converso
Certi numeri parte tra le Stelle,
Onde n’appaion poi sì vaghe, e belle.
Con ordine immutabile prescrive
A ciascuna quando habbia a gir o stare,
Da che quanto tra noi e more e vive,
Ha vita, e morte, poi torna a guardare
E riveder come al suo corso arrive
Marte, qual, bench’avezzo caminare
Per via incerta, va pur a certo fine,
Che così voglion le leggi divine.
Come con certo passo giri intorno
Giove portando giovamento al mondo,
Come la Luna si nasconde il giorno,
E tosto muti il bel lume fecondo,
Come partendo sia tardo al ritorno
Saturno horrido, mesto, et infecondo,
Quanto Venere bella, e dopo lei
Errando vada il messaggier dei Dei.
E quando Febo all’antro si avicina
Subito ad incontrarlo la potente
Natura viene, e agli alti rai s’inchina
Il bianco vecchio humile, e riverente.
Allhora da sé s’apre la divina
Spelonca, allhor si veggono patente
L’adamantine porte, e a poco a poco
Tutti i secreti appaion di quel loco.
Quivi i secoli sono di diversi
Metalli fatti, e posti nei lor seggi,
Quel di rame, di fer questo, onde aspersi
Spesso i mortai son di sanguigni freggi.
Riluce uno d’argento, per cur fersi
Gli altri duo vili, ma non che pareggi
Però il quarto di finissimo oro,
Fatto già con mirabile lavoro.
(5)
La descrittione di questo Antro o spelonca che la vogliamo dire ci mostra, come la espone il Boccaccio, che la Eternità va sopra a tutti i tempi, e perciò ella è di lunge, et incognita non solamente a’ mortali, ma quasi anchora a’ Dei celesti, cioè a quelle beate anime che stanno alla presenza del sommo Dio, il quale solo sa tutte le cose. E dal gran seno manda la spelonca i tempi e questi richiama pur ancho al medesimo, perché in lei hanno havuto principio già, e del continuo l’hanno e l’haveranno sempre, rivolgendosi tuttavia in sé stessi, come dissi pur mò del Serpente che circonda la spelonca. E fassi questo tacitamente, perché non ce ne avedendo noi il tempo passa come di nascosto. Alla porta, ove siede la Natura, vanno molte anime volando intorno, perché molte ne scendono del continuo ne’ mortali corpi; e per darci ad intendere che ciò che entra nel grembo della Eternità vi entra per lo mezzo dell’alma Natura, e per ciò ella sta quivi alla porta. Il vecchio che parte le Stelle per numero forse è Dio, non perché ei sia vecchio, che in lui non si può dire che sia termino alcuno di età, ma perché sogliono così parlare i mortali, che chiamano quelli etiandio che non ponno morire di molta età; il quale dando ordine al movimento delle Stelle distingue i tempi. Altro non dice poi il Boccaccio dei secoli che sono quivi, come che sia cosa facile da intendere; et io parimente non ne dico più per venire homai alle promesse imagini, cominciando da Saturno, perché questo tolsero gli antichi pel tempo, e del tempo habbiamo pur ancho detto qualche cosa ragionando della Eternità. La quale non ardisco già di desiderare a questa mia fatica, ma ben prego chi lo può fare che voglia almeno per qualche tempo darle vita con il suo favore.
Note:
5. Claudio Claudiano,
De Consulatu Stilichonis II, 424-452. (N.d.C.)



domenica 28 novembre 2010

La Salamandra, l'eminenza grigia che guida la storia del mondo



Scandurra, in più di un'occasione, ci raccontava la storia occulta di una congrega che interferiva sensibilmente sulle cose di questo mondo da secoli, composta di appartenenti alla nobiltà più vetusta d'Europa, faccendieri a vario titolo e banchieri di razza, circondati da un'aura magica, da ritualismi un po' arrugginiti dal tempo, tuttavia sempre efficaci. La congrega operava pressoché indisturbata dietro le quinte della Storia, a prescindere da ideologie politiche e da regimi che via via si avvicendavano. Oltre ad avere il controllo di banche, industrie e governi, non si facevano scrupoli di certo ad avviare attività criminali concernenti traffici di droga ed armi, spionaggio industriale e scientifico. Tali figuri prendevano ordini da un'eminenza grigia, un grande vecchio senza età, in senso letterale o quasi. Già, e qui Scandurra ci stupiva con le sue rivelazioni buttate lì per caso. Perché l'eminenza grigia in questione, secondo il nostro maestro, aveva diversi secoli sul gruppone, 700 anni circa, mese più mese meno e, come il conte di saint Germain, sembrava possedere segreti e poteri non comuni. Gli chiedemmo quale fosse il nome di tale adepto nero, ma ci disse che per sapere certe cose pericolose, si doveva essere altrettanto pericolosi.
“Se lo nomini, lo chiami e lui ti sente. Sei poi in grado di sostenerne lo sguardo?”
Insomma, il grande vecchio guidava le sorti dell'umanità con fini maligni, nascondendosi in una roccaforte non invisibile, presso una regione dell'Europa centrale. Il vegliardo aveva sembianze d'uomo, in realtà era un ibrido. Scandurra non utilizzava questo termine, si riferiva a lui con l'epiteto di 'bastardo'. Da come lo diceva, tradiva una certa animosità, insolita per il nostro maestro. Per noi, queste rivelazioni ci sconvolgevano la vita ma non dubitavamo della loro realtà, anzi, si profilavano scenari ben più vasti, terribili, che andavano ben oltre le cronache dell'epoca come il compromesso storico DC/PCI e il terrorismo rosso e nero. C'era una dimensione ulteriore da tener conto quando osservavamo la realtà: i piani erano incrociati e vi era, come nelle scatole cinesi, un altro segreto ancora dietro il precedente. Ogni cosa andava letta da più visuali. Per la congrega, fondamentale è far credere al popolo sempre alla 'versione ufficiale'...
Il pellegrino dello spirito deve pensare sia al cielo che alla terra. Guardarsi intorno e capire chi comanda, quali sono i meccanismi che operano nella società, il ruolo delle banche, le strutture del potere mondiale. E risalire dalla base al vertice della piramide, per 'pizzicare' chi è il padrone del vapore e svelare le sue intenzioni. Scandurra nella sua modestissima attività profana, non versava mai i suoi magri ricavi e risparmi in un istituto di credito. Ci diceva: chi entra in banca si insozza. Preferiva riporre nel cassetto del bancone quei quattro soldi dell'incasso, poi, all'orario di chiusura prendeva quanti spiccioli gli servivano. Gli dicevamo che quella sua posizione poteva avere anche un valore simbolico, ma non avrebbe certo fatto fallire la banca che tanto avversava. Ci rispondeva sghignazzando:
“Lo capirete. Il denaro in mano a chi lo guadagna è buono, ma messo nelle casse dei banchieri diventa un talismano nero, capace di attirare e poi canalizzare il malaccio nel mondo. Giorno verrà che tutto il denaro stipato nei sotterranei delle banche si brucerà e non sarà buono nemmeno per 'coce l'ova'. Ho avviato questo processo e prima di me altri due salta-fossi. Non immaginano nemmeno lontanamente quei fetenti di banchieri, che scherzetto gli stiamo organizzando”.
Altro che Carlo Marx. Scandurra aveva capito meglio di chiunque altro il potere perverso del Capitale. Lo studioso di Treviri aveva ben diagnosticato la questione economico-sociale del mondo moderno, sbagliata la sua terapia. Il nostro maestro ci faceva ragionare in un altro modo: priviamo le banche della materia prima (il testimone magico) ed esse non potranno far del male realizzando il malocchio al mondo. Ci diceva che solo Cristo era stato capace di realizzare il miracolo economico: la moltiplicazione dei pani e dei pesci senza interessi. Creazione di materia dall'etere diffuso. Ecco, da quando invece alcuni uomini, servi sciocchi del demiurgo ultracentenario, hanno istituito la finanza e come gogna psico-fisica, le banche, il mondo è stato schiacciato, sfruttato, annichilito, dal debito costante, ininterrotto, unica catena fin'ora indistruttibile. La gente non ne può più, ma a nulla sono valse le democrazie o le tirannie. Quel perverso potere galleggia indisturbato tra le onde della storia. Per noi erano affermazioni valide, certo, ma non capivamo fino in fondo la meccanica occulta che stava dietro l'ordinamento internazionale dell'alta finanza. Credevamo che il fine dei banchieri fosse quello di far profitti con l'usura legalizzata. Scandurra ci diceva che ben altri erano gli obiettivi dei potenti.
Nella sua bottega magica, snodo multidimensionale snc, il maestro faceva la sua rivoluzione silenziosa, libera da ideologie, unica possibile: il ritorno alla comunità, in sintonia con gli archetipi, i simboli, la tradizione. Una Nuova Atlantide stava rinascendo dalle nebbie spaziotemporali. Ma fu da pochi vista o avvertita, per i più la realtà procedeva inesorabile verso l'entropia e il dominio del denaro, due direttrici che si incontreranno poco dopo il nuovo millennio. Allora, ne vedremo delle belle.






La Porta


Sono fermamente convinto che la percezione del mondo esterno sia pura illusione e che dietro gli eventi quotidiani e gli oggetti comuni vi sia un segreto che è la chiave del grande enigma dell’esistenza umana.
I mondi sono popolati di segreti, misteri e antiche tradizioni: presenza costante è quella di una natura primeva, porta d’accesso a dimensioni nuove o dimenticate, contea del piccolo popolo o destinazione di chi vaga in cerca dell’estasi della vera conoscenza. Un’antica pietra è custode e testimone d’un rito iniziatico, tra gigli e orchidee: si tratta di un unicum, il mondo minerale è altrimenti trascurato.
C’è solo un’esistenza, una scienza, una religione, che il mondo esteriore è soltanto un’ombra variegata, che può sia celare che rivelare la verità. L’estasi fisica può essere il rituale e l’espressione di ineffabili misteri, di un mondo oltre i sensi, che deve essere penetrato tramite i sensi.